Gaetano Sferrazza ha raccontato ad intere generazioni e ai giornalisti di tutto il mondo l’epopea dello zolfo e del sale. Le sue memorie in un libro pubblicato da “Malgrado tutto”.
La vita la si vive o la si scrive, diceva Pirandello. E Gaetano Sferrazza – morto dieci anni fa all’età di 98 anni – la sua vita l’ha vissuta e l’ha scritta. Il Circolo Zolfatai e Salinai è stato, negli ultimi suoi vent’anni, il luogo dove quest’anziano signore coi timidi baffetti bianchi dava appuntamenti a gruppi di studenti, giornalisti, appassionati di storie e microstorie. A tutti raccontava le sue esperienze prima come fabbro e maniscalco, poi come meccanico delle zolfare di Cozzotondo e per finire come amministratore della salina di Pantanelle. Strano non incontrarlo più seduto davanti al circolo degli ultimi minatori e in piazza, a Racalmuto.
Erano questi i palcoscenici dove lui incontrava gente, parlava con tutti. Lu zi Tanu – come veniva chiamato in paese – era un grande affabulatore. Un vero cantastorie, la cui musica però era scandita solo dal timbro della voce e dall’irrompente ironia. Conosceva il paese e i suoi paesani: e conosceva soprattutto le storie del sale e dello zolfo di questo cuore di Sicilia.
“Trascorro le mie giornate dividendomi tra la casa il circolo e la piazza – aveva scritto nell’introduzione al volumetto Il signorotto rampante pubblicato nel 2011 da “Malgrado tutto” – In questi ultimi anni ho scritto i miei ricordi e le mie memorie facendo rivivere personaggi e momenti del passato”.
E’ riuscito a mettere su carta i suoi ricordi e le sue esperienze da tramandare ai più giovani. Sferrazza raccontava della zolfara di Gibellini, dei carusi e dei padroni, di feste e sagre e momenti di vita di un paese di cui restano ormai solo racconti e vecchie foto ingiallite. Scrisse del medico Don Ciccu Burruano e del socialista Raffaele Mantia, che nella sua casa in contrada Loggiato sventolava una bandiera rossa. Sferrazza racconta che il figlio di Mantia, Nicolò ma da tutti chiamato Cocò, nel 1925 fu nominato direttore dei lavori per la costruzione di una centrale elettrica, l’attuale sede della Fondazione Sciascia. Ricordava sempre di aver conosciuto l’ingegnere Cocò Mantia. “Per le sue idee di socialista – diceva – fu licenziato dalla Direzione generale della Società Sicula Lombarda. Portava nel taschino un fazzoletto rosso e non volle mai iscriversi al partito Fascista”.
Memorie d’altri tempi, insomma, intrise di storie che hanno un senso, di valori e di fiducia nelle idee e nel progresso. Come la vicenda del carro che ancor oggi traina il Cilio dei borgesi durante la chiassosa festa di luglio dedicata alla Madonna del Monte. E’ stato Gaetano Sferrazza nel 1960 a mettere quattro ruote al cilio che nessuno voleva più portare a spalla.
Il sale era la sua vita. E lui stesso finì con l’essere una miniera di parole e di ricordi, di racconti e di veri e propri flashback: come le risate che regalò nella sua ultima estate sotto il solo cocente di Regalpetra, davanti il “suo” circolo, raccontando dei suoi coetanei che mettevano in scena il Mortorio al teatro comunale. Di quell’attore racalmutese che faceva il Cristo in croce, che alla domanda su quante erano le stelle del firmamento del cielo rispondeva ironicamente: “Quantu li corna di tomà“.