Il 18 maggio del 1988 moriva Enzo Tortora, il popolarissimo presentatore e giornalista televisivo vittima di una vicenda giudiziaria che fece molto scalpore. A Tortora dedichiamo oggi la nostra “Memoria” riproponendo alcuni stralci delle lettere tra il noto personaggio televisivo e Leonardo Sciascia. Un rapporto iniziato negli anni Sessanta e proseguito fino alla morte di Enzo Tortora, la cui storia è raccontata dalla figlia Gaia nel libro Testa alta, e avanti, pubblicato da Mondadori nel 2023
I primi scambi di corrispondenza risalgono agli anni Sessanta, quando Tortora si complimenta con Sciascia per il suo libro di racconti “Gli zii di Sicilia”: la carta da lettera è intestata a Salvatore Tortora, il papà di Enzo e la lettera inviata a Leonardo Sciascia, presso le scuole elementari di Racalmuto.
Poi, un lungo silenzio, solo a tratti interrotto, fin quando il 17 giugno 1983 Tortora viene arrestato, accusato di far parte della camorra. Tre mesi dopo, il 18 settembre, dal carcere di Bergamo, dove Tortora è stato trasferito dopo il primo periodo a Regina Coeli, un messaggio pieno di angoscia, ma anche di gratitudine.
“Caro dottor Sciascia, sono Enzo Tortora. Ancora chiuso in questo tunnel assurdo, demenziale, basato sul niente. Io spero abbia ricevuto da Regina Coeli il mio commosso telegramma di ringraziamento. Lei ha visto con occhi profetici la tremenda realtà che mi imprigiona”.
Cosa aveva scritto Sciascia? Sul quotidiano milanese, lo scrittore sempre attento alle questioni della giustizia, tema portante della sua letteratura e della sua vena di polemista, non aveva avuto mezzi termini.
“Il caso Tortora – scriveva Sciascia il 7 agosto 1983 – è l’ennesima occasione per ribadire la gravità e l’urgenza del problema. Non mi chiedo: “E se Tortora fosse innocente?”: sono certo che lo è”.
La natura del rapporto tra i due, che si erano già occasionalmente conosciuti negli anni Sessanta, come testimoniano alcune di queste lettere, si riallaccia e trova ragioni in nome della ricerca di giustizia. Tortora affida a Sciascia i suoi tormenti di detenuto, le sue riflessioni, scegliendolo come punto di riferimento morale.
Nel febbraio 1984, agli arresti domiciliari a Milano, scrive: “Caro dottor Sciascia, rientrando in manette a casa, intendo ancora ringraziarla per quanto ha fatto per me. Il possibile. Ed è moltissimo in un Paese dove l’impossibile è norma. Tra non molto (ma i tempi sono napoletani) dovremmo finalmente avere gli atti, le segrete carte, i misteri eluisini sui quali hanno costruito questo castello ignobile“.
Le lettere via via si intensificano – molte indirizzate in contrada Noce, a Racalmuto, altre nella casa palermitana di viale Scaduto – mentre la grafia di Tortora resta sempre pulita, ordinata, ma pensieri e parole sono densi di indignazione.
“Caro Sciascia – ed è il 12 aprile 1984 – ormai pendolare tra clinica e casa, con adeguata scorta dei carabinieri, sto per festeggiare i dieci mesi di questa infamia, dai contorni, se avessi ancora voglia di ridere, esilaranti. Ma riso amaro, e riso atroce sarebbe”.
E più avanti: “Io mi sono reso conto che i peggiori deliri, le peggiori infamie vengono ormai compiute in nome della legge, in un Paese che ha perso addirittura il senso delle enormità che qui commettono. Sono in preda a un disgusto, a una disperazione globali, assolute. Ho attraversato impensabili deserti di vergogna, di sopraffazione, di viltà”.
“Arrestato in nome del Nulla, del puro Delirio – prosegue Tortora – io soffro non tanto per me, quanto per questo stato di cose, per questo Stato che non esiste più. Quando Crimine e Giustizia divergono (e non sempre) solo nei fini, ma non nei mezzi, è la morte di una civiltá. La morte dell’uomo”.
Dal lei, con i mesi, gli anni, si passa al tu. Tortora impegnato con il Partito radicale, nel quale è stato eletto anche lo stesso Sciascia anni prima, nel luglio 1987, dopo che anche la Cassazione conferma la sua innocenza, tira le fila con un’altra lettera a Sciascia. “Carissimo Leonardo, a conclusione della mia storia (passata in sordina, quasi frettolosamente sepolta: ed è rivelatore…) sento il dovere di dirti grazie. È un grazie che devo a pochissimi. E questo aumenta il merito tuo”.
Nelle altre lettere, quelle successive, si parla anche di un progetto cinematografico su Stendhal, lo scrittore francese amato da entrambi. Ma il tempo morde. Tortora muore il 18 maggio 1988 (sulla sua tomba ha voluto un epifaffio a quanto pare suggerito proprio da Sciascia: “Che non sia tutta un’illusione”.
Sciascia scompare poco più di un anno dopo. Restano le parole, e la memoria per chi vuole avere memoria. Restano queste lettere che vale la pena di leggere e rileggere.
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A quarant’anni dall’arresto di suo padre, Enzo Tortora, la figlia Gaia racconta la sua storia e quella della sua famiglia nel libro Testa alta, e avanti, edito da Mondadori. “Gaia Tortora, cerca giustizia, e non solo per se stessa. L’autrice e giornalista è infatti consapevole che il caso di malagiustizia che ha segnato la sua vita è simile a molti altri: ogni giorno tre innocenti finiscono in carcere per errore, più di mille cittadini l’anno. Proprio come successe a suo padre”.