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Quelli della terza C. Cena di classe al tempo del virus

EFFETTI COLLATERALI. L’isolamento produce strani fenomeni. Come nasce su whatsapp una riunione tra vecchi compagni di scuola, alcuni dei quali non si vedono da quasi quarant’anni

Strani effetti ha il lockdown. Imprevedibili e singolari come lo sono questi giorni, così stranianti e straniti.

Foto di classe. Terza C, liceo Empedocle. Al centro il professor Antonio Cimino

Bisognerebbe chiedersi – ma la risposta è facile – perchè con i confini chiusi, i movimenti limitati, serrati più o meno nelle nostre case, si ha la necessità di tornare indietro, con la memoria, con i ricordi, con il sentimento a una stagione antica e felice, perduta sì, ma perduta nel tempo, non per colpa o merito della quarantena. Perchè il tempo del liceo è passato da tempo, gioco di parole permettendo.

C’è sempre uno che comincia, forse non a caso quello che sta più lontano. E da New York, Giacomo, apre un gruppo su whatsapp, rimette insieme i primi compagni di classe. Il gruppo si chiama “I ragazzi della III C”, ultimo anno di corso al liceo classico Empedocle di Agrigento, stagione scolastica 1982-83. L’anno della maturità, per intenderci.

Con un passaparola virtuale, si ricompone la classe, numero telefonico dopo numero, contatto dopo contatto. Viene fatto anche l’appello: Alaimo, Alaimo, Alù… per ventotto volte. Ci siamo tutti? Sì, ci siamo tutti. Ma qualcuno è andato via prima, qualcuno è arrivato ad anno scolastico in corso. Cerchiamoli e aggiungiamoli al gruppo.

La terza C dilata i suoi muri, i suoi spazi, non è più al secondo piano dell’edificio di via Empedocle: tocca città e continenti. Agrigento, Aragona, Raffadali, Racalmuto, Palermo, Roma, Pisa, New York, e così via.

Come va? Come stai? Ma sei proprio tu? E come sempre si comincia con gli aneddoti, con i ricordi, con gli episodi memorabili, qualcuno tira fuori vecchie pagine di un diario Linus o Sturmtruppen. Calligrafie adolescenziali, frasi stupide o banali. Tutto finisce nel frullatore del gruppo, con un sorriso, una battuta.

Vengono fuori i caratteri di sempre: chi scherza, chi si mette al centro, chi polemizza. Qualcuno propone una riunione in video, ma è difficile collegare ventotto persone.

Dai ricordi si passa al presente. Il medico, il magistrato, l’insegnante. Ciascuno racconta i suoi giorni. Passano le domeniche, giorni di festa senza festa. Qualcuno impara a fare il pane con la ricetta di un compagno che l’ha già fatto. I consigli sul lievito, sui modi di cottura. Vengono fuori foto che presentano squarci di case, di forni a legna, di cucine. Che è un sistema per ospitare tutti a casa, per aprire la porta a volti e persone con cui abbiamo condiviso adolescenza, sogni, speranze.

Il gruppo c’è. Ci si sveglia al mattino e si trovano i messaggi della notte prima, i primi del risveglio. Conversazione incasinate, affastellate, un po’ caotiche. Ma una classe è così: ci si parla addosso, si sovrappongono le voci, una domanda ha tante risposte o nessuna. Si scorrono i post, con un sorriso. Si interviene oppure si resta al proprio banco, ad ascoltare le voci. Un brusio che accompagna questi giorni. Un brusio piacevole, che ti fa sentire meno solo.

Ho ritrovato la mia classe, la terza C, in questo tempo senza tempo. Resisterà al virus? Spero di sì. Spero che riusciremo a vederci, a riabbracciarsi. Non so quando. Ma spero presto. Presto.

 

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