VIRUS. Minacciano nuove chiusure, bacchettano gli italiani. Nuovi Savonarola, gli immunologi di Stato imperversano su giornali e tv con opinioni diverse e contrastanti. Mai che nessuno dica: se risalgono i contagi mi dimetto perchè abbiamo sbagliato. La colpa è sempre degli altri. E’ troppo chiedere che i medici di Stato restino zitti per un po’?
L’ultima è di Walter Ricciardi, consulente del ministero della Salute: “Non è finita, se i contagi salgono tra due settimane dovremo chiudere. Il Paese resta sorvegliato speciale”. E intanto vedo fioccare altre dichiarazioni di virologi, medici, epidemiologi e progettatori di curve del contagio pronti a dare la colpa agli italiani – quindi a me, a tutti noi, anche a chi è chiuso in casa per la paura – se tra quindici giorni aumenteranno i positivi qua e là per l’Italia. Un dato che, a rigor di buon senso, dovrebbe essere quasi scontato, visto che sono stati riaperti grandi settori economici.
Certo, mi aspetterei che qualcuno dei medici di Stato dicesse cose diverse. Ad esempio, una cosa così: se tra quindici giorni il contagio riparte da qualche parte, mi dimetterò dal mio incarico (penso ai luminari del Comitato tecnico scientifico) perché non abbiamo saputo isolare in tempo il focolaio, non abbiamo saputo fare tamponi e test, non abbiamo saputo tracciare la rete dei contatti. Ma la colpa, invece, già lo so, sarà soltanto mia perché alle cinque della sera di giovedì ho incontrato una persona che pensavo fosse un congiunto e invece era poco più che un conoscente.
Le bacchettate sull’eccesso di euforia per la Fase2, sul fatto che tre ragazzi di Palermo o di Bari o di Genova hanno bevuto una birra in riva al mare ad un metro di distanza (ma togliendosi la mascherina, perché non si può bere con qualcosa davanti alla bocca, tranne che non esistano diverse disposizioni), già mi fa pensare che in questo clima molti esperti siano diventati “nemici della contentezza”, come si dice dalle mie parti.
La teorizzata e proclamata distanza sociale – non fisica, ma proprio così: sociale – in altre parole significa dover vivere con la faccia della circostanza, l’espressione grave, il volto corrucciato. La felicità o qualunque sua parvenza è deleteria, forse vietata. In altre parole: una risata ci ucciderà. Senza mascherina, poi, la felicità risulterà letale anche a due metri di distanza perché ridere, cantare o raccontare barzellette è equivalente a uno starnuto.
Piccola proposta. Dopo sessanta e più giorni in cui gli esperti ci hanno spiegato tutto e il contrario di tutto, ammettendo di fatto di non averci capito ancora molto, possiamo prevedere un periodo di moratoria da immunologi, epidemiologi e virologi? In pratica, una quarantena verbale per i medici di Stato.
Nessuno vuole reprimere la libertà di parola né tantomeno quella scientifica, ma si può chiedere ai medici consulenti di Stato (a titolo gratuito o meno) di astenersi dal commentare sui giornali o in tv i comportamenti sociali degli italiani? Si può chiedere che con una clausola di riservatezza – che peraltro viene rispettata da molti dipendenti pubblici: poliziotti, carabinieri, impiegati comunali, vigili urbani – tutti i medici che collaborano con enti statali o regionali stiano in silenzio per un po’?
Facciano parlare gli amministratori, il presidente della Repubblica, il capo del governo, i ministri. E se proprio si deve, la voce della sanità di Stato sia unica e univoca. Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di Sanità? E allora parli solo Busaferro, quando è il suo turno. Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità? E parli Locatelli, quando gli tocca. Uno solo per volta, per carità. Perché altrimenti continueremo a non capire niente, ancor meno di quel che vogliono farci capir