Vi spiego come e perché
Non so a voi, ma a me è capitato spesso di imbattermi in situazioni in cui ho dovuto spiegare ai miei studenti che ciò che per noi è giusto, morale o lecito non è detto che lo sia per altri popoli. La pena di morte, per esempio, è ancora in vigore in molti paesi, mentre in Italia non solo il nostro sistema giuridico non la prevede, ma è anche giudicata immorale. Di questi esempi negli anni ne ho dovuti fare molti per far comprendere che non c’è un solo modo di vedere le cose, concepire le regole, condividere i valori. Insomma, di teoria ne ho fatta veramente tanta, attingendo in maniera consapevole alle conoscenze acquisite sul relativismo culturale studiato ai tempi dell’università.
Per sperimentare personalmente il fenomeno del relativismo culturale ho dovuto trasferirmi, diventandone formalmente cittadina, nel paese della ragione, Racalmuto.
Che Racalmuto sia un paese come tanti altri, non ci sono dubbi, tanto che tutte le volte che qualche curioso mi chiede come si vive in questo paese, non nascondo di trovarmi in imbarazzo, perché rispetto al mio paese d’origine non trovo grandi differenze e comunque la mia vita sociale e professionale, nonostante il cambio di residenza, non ha subito grandi variazioni.
Purtuttavia qualcosa di veramente speciale a Racalmuto c’è. Qui, nel paese di Sciascia, tutto è un po’ più slow, liento come si dice da queste parti, la gente ama prendersi il suo tempo e le relazioni sociali sembrano avere la precedenza su tutto, ma proprio su tutto. Adesso vi spiego come e perché.
Mi ero da poco trasferita in paese, quando un giorno rientrando da scuola, dopo cinque ore e mezza di lezioni frontali, in via Roma la macchina che mi precede improvvisamente si ferma. La signora al volante aveva incrociato nell’altro senso di marcia qualcuno che evidentemente conosceva e pertanto, magari non vedendosi da tempo, avevano pensato di intrattenersi in una piacevole conversazione. Non sto parlando di una strombazzata di clacson e un ciao al volo, ma di una conversazione a tutti gli effetti con una lunga coda di macchine che si iniziava ad alimentare in entrambi i sensi. Dopo alcuni interminabili secondi, stanca e insofferente per il richiamo della mia vescica, do due colpi di clacson per sollecitare i due interlocutori, certa di una veloce ripresa della marcia, ma invece, con mio immenso stupore, la signora esce il braccio dal finestrino e a gran voce mi grida: “Signora si calmi!”.
Ho sgranato gli occhi e mi sono bloccata, facendo appello a tutto il mio autocontrollo, continuando a sentire nella mia testa quel “Signora si calmi”. In meno di tre secondi ho capito che una mia eventuale reazione sarebbe stata letta come un atto di pura isteria. Chiunque avrebbe focalizzato la sua attenzione sulla mia reazione, tralasciando l’intero contesto. E poi, nessuno sembrava essere tanto infastidito quanto lo ero io.
Le due signore non erano arrivate neanche ai saluti di congedo, mentre io realizzavo che stavo sperimentando un relativismo culturale davvero spicciolo: ciò che per me era da maleducati e per il codice della strada infrazione, in questo paese era consuetudine condivisa.
Ecco, i racalmutesi, o quantomeno alcuni di essi, si concedono il tempo necessario per intessere le loro relazioni sociali anche se corrono il rischio di bloccare il traffico.
Io, intanto, adesso nell’assistere a questi bizzarri eventi sorrido, continuando a ripetermi come un mantra “Signora si calmi”.